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Dieci cose che ho scritto ma che non posso credere di aver scritto, però le ho scritte.

27 Giugno 2007

Non me ne voglia l’autore del libro, se prendo in prestito il suo titolo e ne faccio una parafrasi per inaugurare una nuova serie di post. Curiosando nei miei ricordi, fra stampe, diari, backup e archivi zippati, mi saltano fuori continuamente delle lettere, delle riflessioni, che a leggerle ora mi sento scema eppure se le ho scritte un motivo ci sarà stato. Parole, emozioni, dedicate a persone delle quali oggi fatico a ricordare il nome. E quindi ho deciso di riportarle a nuovi fasti, di condividerle, di farle diventare pubbliche, loro che sono sempre state chiuse da qualche parte e ora di fronte a tutto questo pubblico magari si spaventeranno, si sentiranno inadatte, loro che non sono altro che timidi sintomi di una grande passione per la scrittura. Ma fondamentalmente anche questa è una parte di me. Che non mi rappresenta più, è vero, ma è bello ogni tanto sfogliare l’album dei ricordi.

 

31 marzo 1999

Era solo un numero. Però ci siamo incontrati e tutto è cambiato. Una luce. Forse sarebbe stato impossibile carpire il suo essere. Poi abbiamo cominciato a parlare. Ho sentito che la luce diventava calore: una tiepida sensazione di piacere che si cospargeva nello spettro della sua presenza. E quando rideva sembrava che gli attimi si incurvassero, per fare spazio al divaricarsi armonico delle sue labbra. I suoi sorrisi inframmezzavano gli attimi di dolci chiaroscuri. In quel momento, lontani da ogni percezione temporale e da ogni margine di razionalità, in quel momento che sarebbe presto diventato un ricordo, mentre la notte lasciava spazio all’alba del mio domani senza di lui, come un miraggio di note avrei voluto dirgli "questa notte vorrei averti vicino, e vicino non è ancora abbastanza".  Ma lui era lì, potevo allungare la mano e sfiorarlo, potevo inalare i suoi stessi respiri. Io non lo conoscevo, eppure lo volevo, era come se non avessi vissuto per nessun altro motivo che per volerlo. Silenziosamente, umidamente, persa dentro di lui. Persa nelle nostre parole sussurrate, persa nel suo sguardo. L’ho baciato. E lui ha continuato a baciarmi. Baci profondi come burroni, baci tratteggiati in geometrie scomposte. L’ho guardato dritto negli occhi: era come guardare in un abisso. Impossibile andarmene, impossibile pensare. E ancora, nella mia testa, quella canzone. Eravamo assieme, ma già nei suoi abbracci c’era una stretta struggente come un addio: lo sapevo già che, dopo di noi, sarebbe rimasto solo quel cielo. Ma ero così felice. E lo sono tuttora! Ma in fondo… sono in un’altra città. Vivo momenti che non gli appartengono e sinfonie di sensazioni che la sua anima non può condividere. Quanti brividi che non nascono dalle sue mani, quanti sogni che non ricamiamo insieme: forse io e lui staremo di nuovo vicini, ma mai realmente ci apparterremo. E anche questa notte vorrei averti vicino… e vicino non è ancora abbastanza. Credimi.

 

LdC

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  1. Silenziosamente, umidamente, persa dentro di lui.

    Eravamo assieme, ma già nei suoi abbracci c’era una stretta struggente come un addio

    (Ladra di caramelle, 31 marzo 1999)

    Ste :-)

  2. Ste, ma secondo te io sono così banale da scrivere un post sull’inizio dell’estate, argomento che affronteranno tutti i blogger del mondo? Tzè. E poi per me le code da e per la riviera sono iniziate ben prima dell’estate: è da Pasqua che vado al mare, ormai!

    Federico, bentornato tra noi! Tutto bene?

    Liz, è confortante sapere che di quella persona fatico a malapena a ricordare chi fosse. C’è da pensare che può non accadere solo a me.

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