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Cinque minuti di autocommiserazione.

2 Luglio 2007

A me non piace piangermi addosso e lo so che voi che mi conoscete bene direte cosa? eppure, sul serio, ogni tanto lo faccio, ok, confesso, ma vi garantisco che non ci sguazzo quando faccio Calimero. Vi invito a credermi, a dimenticare di quelle volte che mi avete visto piagnucolare per un pantalone che non cadeva come desideravo, per un’unghia spezzata, perché i vicini di tavolo fumavano, perché ero bloccata in coda in autostrada. Io però adesso vorrei autocommiserarmi cinque minuti perché – e scusate se aggiungo porcaputtana – mi sembra di non aver capito nulla di come si sta nel mondo del lavoro, nonostante la mia onesta carriera di tredici anni. Bene, io non sono un fenomeno di bravura e tantomeno un fulmine di guerra: svolgo il mio lavoro anche se non mi piace particolarmente, anche se mi annoia parecchio, ammetto di cazzeggiare, ammetto che ho i miei abbondanti tempi morti che mi permettono di svolgere attività parallele, non per ultima anzi la più importante, ad esempio, scrivere quotidianamente sul blog. Ammetto che lavorare qui dentro è comunque piacevole, che poteva andarmi peggio, che ho dei benefit non indifferenti quali telefono aziendale del quale manco vedo la bolletta, vari pc aziendali che mi sono stati regalati negli anni, una casella di posta a capienza illimitata e senza controllo alcuno dalla quale invio e ricevo tutto lo scibile dei fatti miei, la possibilità di entrare e uscire a piacimento senza dovere per forza avvisare con largo anticipo e addirittura a volte senza che il permesso mi venga scalato. È vero, lo ammetto, qua si sta da dio. Senza contare il flipper, il tavolo da ping-pong, il juke box, il mio collega preferito, il mio capo fondamentalmente molto di sinistra e quindi di vedute molto aperte.

 

Ma non è che tutto questo mi sia piovuto dal cielo e soprattutto non è che usufruisco dei miei benefit tutti i giorni e più volte al giorno. Insomma, me ne approfitto il meno possibile perché so che potrebbero non essere eterni. E comunque sia so che non mi sono dovuti: tutto questo ho cercato e cerco ogni giorno di meritarlo. Da tredici anni. Cerco di meritare sempre la fiducia che mi viene data, cerco di dare un motivo alla mia direzione per scegliere di non risolvere il nostro contratto. Non mi ammazzo di fatica, è vero, un po’ perché mi so organizzare bene, un po’ perché al di là di periodi come queste due ultime settimane, il settore non va a gonfie vele e conseguentemente i tempi non sono particolarmente stretti. Quando c’è da marciare, però, si marcia e pure spediti. E ci si lamenta, questo è chiaro: si dice che stress, che palle, non ne posso più, non ho mai finito, mi stanno massacrando, non stacco gli occhi dal monitor cinque minuti e tutta una serie di constatazioni che ci stanno quando il lavoro preme particolarmente. È lavoro, dunque, è un diritto, un dovere, una routine: comunque lo vediate è lì, garantisce alcune cose, ne toglie altre, chi è fortunato si sceglie il proprio, tanti non ce l’hanno. È lavoro e, per come la vedo io, senza mire carrieristiche che non ho mai avuto e mai avrò, è l’attività che mi permette di finanziare la vita che mi piace. Amen.

 

Però, ripeto, nonostante tutto ciò io rispetto il mio lavoro e l’azienda per cui presto servizio. Poi c’è l’affezione alla gente, ma questo è un altro discorso. Io, salvo rari casi in cui dormo due ore oppure sono concentrata su priorità personali, a lavorare cerco sempre di essere sul cosiddetto pezzo. Ed è per questo che oggi mi concedo questi cinque minuti di autocommiserazione e mi dico che probabilmente non ho capito niente di come vanno realmente le cose, perché vedo una persona che lavora qui da due anni, che non solo non è né strategicamente né trasversalmente indispensabile per l’andamento delle attività, che dopo una settimana di ferie che ha concordato fra sé e sé a quanto pare, visto che nemmeno l’amministrazione ne era al corrente, si presenta non solo con mezz’ora di ritardo, ma vede bene anche di andarsene a mezzogiorno. Tutto questo per imprescindibili e inderogabili motivazioni personali. Ovvio che ognuno hai suoi problemi, ma altrettanto ovvio questo trend non è cominciato stamattina, che sono mesi che questa persona si fa bellamente – scusate il francesismo – gli stracazzi suoi con la scusa del poverina, lei ha dei problemi, lei ha un figlio, eccetera. Non è per essere la solita stronza, ma al mondo ci sono miliardi di donne con figli che lavorano e il figlio ha comunque quattordici anni ed è decisamente autosufficiente. E la mia reazione istintiva sarebbe fare come lei, ma se lei non c’è e non ci sono nemmeno io l’assenza si ripercuote su colleghi che nulla hanno fatto per essere coinvolti in questa specie di faida. Stupido da parte mia, ma purtroppo sono fatta di cuore e sentimenti, non andare a riferire in direzione, ma non mi sento di far sbattere a casa una persona il cui unico reddito famigliare è dato da questo lavoro. Non vivrei più in pace con me stessa. Anche se, alla fine, chi ci rimette sono io che mentre lei annaffia i fiori o mentre osserva il fax che trasmette (il multitasking è un concetto che non permeerà mai fino alle sue sinapsi) e pretenderebbe anche di fare conversazione, magari mi cucco tutte le telefonate che arrivano una via l’altra senza pausa. Così, per dirne una. E potrei dirne mille, ma scusate ho già il fegato abbastanza grosso. E, credetemi, potrei concludere dicendo che alla sera vado a casa comunque orgogliosa di essere diversa da lei, di essere migliore di lei. Peccato che di questo non se ne renderà mai conto e peccato che mi sia stancata di farmi forza raccontandomi questa favola. A volte penso che il mondo sia dei furbi.

 

Fine dei cinque minuti di autocommiserazione.

(sapete, suona il telefono e devo rispondere, che lei aveva un impegno personale ed è uscita)

 

LdC

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  1. boicottare la nullafacente.

    cercare di smollarle lavori frustranti.

    massacrarla ogni mattina con frasi tipo ‘cos’hai fatto che hai due borse sotto agli occhi da far paura?’ oppure ‘ma sei ingrassata o sbaglio?’ oppure ‘oh, sembra che oggi ci sarà un’ispezione, cerca di esserci che se no si informano sul perché non ci sei, e son cazzi’ o qualsiasi argomento la possa tormentare.

    il ritmo e lo smazzolamento del tuo lavoro non cambierà, però vederla un po’ in crisi o sulle corde ti risolleverà.

    distruggila, in qualsiasi campo.

    m

  2. Attualmente, io ho alle mie dipendenze ventotto persone. Tutti dipendenti, salvo due stagiste e tre consulenti.

    Dei dipendenti, ce ne sono due che ammiro in particolare per la clamorosa faccia da culo:

    1) quella che si mette in malattia anche per 7 mesi di fila, poi va in ferie, poi di nuovo in malattia eccetera (in pratica, non lavora mai);

    2) quello che è entrato in azienda per raccomandazione delle alte sfere e in ufficio non si vede mai, però lo stipendio a casa gli arriva eccome.

    E’ gente che ha capito TUTTO della vita, tant’è che riescono ad andare avanti così malgrado i tentativi del loro capo (cioè miei) di cambiare la situazione.

    Il che vuol dire che loro sono i dritti, e io il fesso.

  3. una vita che lavoro affianco a sta gente di merda, spesso li assumono anche mentre io resto il consulente che a fine mese andrà via, o cmq arrivano tardi vanno via presto e cmq non fanno un emerito cazzo, eppure prendono più di me e vanno in ferie quando cazzo gli pare, per non pralare delle giornate in cui non si presentano senza dire nulla lasciandomi nella merda e poi segnano 4 ore di straordinari.

    Fine dei miei 5 minuti

  4. Flash news: il fax aziendale, per protesta nei confronti della suddetta, si è appena suicidato. Era stanco di essere osservato mentre trasmetteva. Un po’ di intimità, e che diamine!

  5. Eh si sa…che chi nasce con la “faccia tosta” e chi si rompe il culo per gli altri…ma alla fine tutto torna…vedrai…

  6. Di gente così è pieno il mondo, altrimenti non si capisce perchè vada a rotoli. Meno fanno più carriera fanno, più soldi ottengono.

    Ci vorrebbe un virus selettivo.

  7. sai com’è…ieri ne è successa una da me uguale: appuntamenti tutti saltati, perchè una (che già lavora part time a non voglio sapere che stipendio) ha deciso di andare in olanda dalla famiglia 2 mesi, senza avvertire nessuno e fottendosene allegramente dei lavori da fare. aggiungo che in aprile è andata 2 settimane alle maldive mentra partiva una campagna pubblicitaria da 200.000 euro. e lei è la responsabile delle campagne.

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