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Dieci cose che ho scritto ma che non posso credere di aver scritto, però le ho scritte.

21 Gennaio 2008

Curiosando nei miei ricordi, fra stampe, diari, backup e archivi zippati, mi saltano fuori continuamente delle lettere, delle riflessioni, che a leggerle ora mi sento scema eppure se le ho scritte un motivo ci sarà stato. Parole, emozioni, dedicate a persone delle quali oggi fatico a ricordare il nome. E quindi ho deciso di riportarle a nuovi fasti, di condividerle, di farle diventare pubbliche, loro che sono sempre state chiuse da qualche parte e ora di fronte a tutto questo pubblico magari si spaventeranno, si sentiranno inadatte, loro che non sono altro che timidi sintomi di una grande passione per la scrittura. Ma fondamentalmente anche questa è una parte di me. Che non mi rappresenta più, è vero, ma è bello ogni tanto sfogliare l’album dei ricordi (e capire che invece si è sempre la solita, simpatica, amabile, rompicoglioni).

 

Bologna, 13 marzo 2006 – Le cose che non piacciono a me.

 

Anziché la canzoncina di Tutti insieme appassionatamente, quella che dice gocce di pioggia sul verde dei prati, sciarpe di lana e guantoni felpati, più che il sapore il colore del the, ecco le cose che piacciono a me, che è anche la suoneria del cellulare che riservo alle persone che amo di più, oggi vorrei fare il punto della situazione di tutte le cose che in questo periodo non mi stanno piacendo. Perché, come dice la mia amica Chicca, se qualcosa non ti va bene cambialo, se non puoi cambiarlo allora non rompere i maroni. Forse la Chicca non dice esattamente così, ma il concetto sembra permeare ugualmente.

 

Magari leggerle tutte così in fila mi sembreranno meno ingarbugliate ed irrisolvibili perché così come le sto vedendo ora mi rendono le giornate pesanti e so per certo che delineano l’altrettanta pesantezza del mio umore.

 

Problema 1 anzidetto “mi vedo un cesso”. Sono ingrassata, ok, ne abbiamo preso tutti atto ed entro soltanto nei jeans di Benetton, che notoriamente sono larghi. E il brutto è che sono entrata in uno di quei circoli viziosi che mi vedono nervosa perchè mangio e mangiante perché nervosa: non c’è molta via d’uscita. E la mattonella di cioccolata preparata dalla moglie del mio collega preferito, diavolo tentatore, non è la via d’uscita, anche se chimicamente fa l’effetto della cocaina, quindi propulsivo, messa insieme all’eroina, che dà dipendenza. Inoltre la ricrescita delle mèches è talmente alta che sembro un pastore tedesco biondo focato, c’est pas possibile. Devo assolutamente rituffarmi nel tunnel della galletta di mais e insalata. Domattina telefono alla parrucchiera per chiederle di salvarmi la vita o quantomeno quel che ne resta.

 

Problema 2 “odio il mio lavoro, tutti i miei colleghi e tutti i miei clienti”. Considerando che il mese scorso non la pensavo così e nel frattempo non sono cambiate le mansioni né il team né tanto meno la clientela, direi che potrei chiamarlo momento di demotivazione. Però non è giusto che la gente voglia sempre tutto perfetto e senza facoltà di replica mentre, quando tocca a me pretendere, io sia invece così illuminata da capire che dall’altra parte ci sono persone e non macchine. Insomma: o io mi appendo alla pelle delle ginocchia dei miei colleghi in modo che i clienti possano fare altrettanto con me, oppure qui capiamo tutti che si tratta di informatica e non di organi vitali e ci diamo una regolata generale. Inoltre mi sono rotta i maroni che tutti credano che io sia dotata di sfera di cristallo al fine di pronosticare evasioni merce, arrivi, partenze e desideri nonchè di Stele di Rosetta, al fine di interpretare anche i grugniti di chi mi lavora accanto. Soggetto, verbo e complemento, per pietà! Siccome sfanculare tutti i colleghi e gran parte dei clienti non è possibile (anche se sarebbe una soddisfazione orgasmica), cercare di limitare i danni al massimo e concretizzare il piano-ferie in modo da intravedere la luce in fondo al tunnel, altrimenti non se ne esce. Nel frattempo, per sublimare, maltrattare la Trifola, che non si merita altro.

 

E da qui mi nasce il problema 3: “dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici ci penso io”. Non ho voglia di vedere, sentire e di interagire con nessuno. Nes-su-no. Non lo so perché, forse perché non ami si pensi a me come al 1240 suona fischia e canta, oppure perché se dico che non sto bene il giorno dopo non c’è la fila che mi chiama per sapere come sto, oppure perché la mia amicizia “media” ha sempre voglia di partecipare ma mai di organizzare. Lo so, sono lunatica e non ne vado fiera, ma a volte sento il bisogno di allontanare anche le persone a cui voglio più bene perché capisco di essere in un periodo di scarsissima tolleranza e anche la minima cosa, che normalmente accetterei, rischia di sembrarmi una montagna. E non voglio discutere con certe persone che mi sono care, preferisco tenerle lontane finché non riesco di nuovo a dar loro il meglio. Odio non essere quella di sempre, quella disponibile e allegra, quella che al massimo le passa in cinque minuti, qui non c’è da fare altro che aspettare che il tempo passi cercando di tenere tutti ad un palmo dal culo e limitarmi a frequentare solo quelli che mi stanno bene al 100%, in attesa di momenti migliori.

 

Bologna, 14 marzo 2006

 

Avevo scritto un post che si intitolava “le cose che non piacciono a me”, tanto per parafrasare la canzoncina di Tutti insieme appassionatamente. Solo che da ieri sono passate varie ore e, si sa, niente è come il tempo, quindi adesso mi ritrovo con nemmeno la metà dei propositi omicidi che avevo verso i tre quarti della gente che conosco. E, soprattutto, mi è passata.

 

LdC

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