Ieri sera, ennesima telefonata di una persona che conosco e… «Sai, domani sera non suoniamo più in quel locale» mi fa un po’ abbacchiato «perché non avevano abbastanza prenotazioni e così ci hanno cancellato la serata».
A me ‘ste cose fanno letteralmente cadere le palle, davvero: le osservo rotolare via, sempre più lontano. Questa persona non è il primo che passa, è un artista bravo e affermato da anni, eppure i gestori dei locali –almeno qui a Bologna e provincia, altrove non so- continuano ad avere questa spocchia secondo me assolutamente fuori luogo e trattano urbi et orbi gli artisti come se fossero dei mentecatti morti di fame che devono ringraziare per l’elemosina di un’oretta di esibizione. Con cachet imbarazzanti, quando va bene. Gratis, la maggior parte dei casi (o quantomeno ci provano, poi se hai la faccia di tolla gli strappi almeno il rimborso del viaggio).
Di contratti neanche a parlarne, per amor del cielo! Un accordo scritto che non posso infrangere come e quando mi pare senza darti neanche spiegazione? Sia mai!
Ora, io non sono un’artista nell’accezione più comune del termine: faccio letture, questo si sa, e ovviamente anche a me si cerca di scroccare la performance gratuita (di solito dico no, a meno che non sia una cosa a cui tengo oppure qualcosa per beneficienza). Ma per fortuna, dico per fortuna perché io litigherei con ‘sti bottegai un giorno sì e l’altro anche, le mie esibizioni sono sporadiche.
Nell’ultimo mese, non sto scherzando, ho sentito questa simpatica storiella appena descritta e un’altra, abbastanza simile, di un altro locale che per la seconda volta ha cancellato un ingaggio a uno dei gruppi di una cara amica: la prima volta sostituendo il gruppo con un altro senza avvisare, la seconda volta chiudendo direttamente per fallimento. Dirvi che vi sta bene e che auguro questo destino a tutti quelli che si comportano come voi, credete, è un concetto limitato per esprimere tutto il disprezzo che provo nei vostri confronti.
Infine, ultima ma non per ultima, la scena agghiacciante a cui ho assistito fuori da un club dove dovevano suonare alcuni amici. La richiesta era quella di pattuire, diciamo, un ingresso in amicizia per quel determinato evento. La risposta è stata «già vi faccio il favore di non farvi pagare l’affitto del club, non posso abbattere anche questa spesa». Scusa? E noi il favore di venire a suonare gratis da te e riempire di gente il tuo club di merda in mezzo alla settimana quando neanche tua nonna sarebbe venuta a consumare un Chinotto, non te lo stiamo facendo? Roba che io ti auguro di chiudere dopodomani e di cominciare a sbadilare ghiaia alla Sa.Pa.Ba. nel migliore dei casi, di fare il disoccupato a vita, nel peggiore. Perché non sei capace, ma soprattutto non meriti di fare questo lavoro e perché gestire un locale sì, comporterà senz’altro dei casini (anche perché qui a Bologna non è un mestiere semplice, con un divieto nuovo che spunta ogni giorno) ma se ti cominci a mettere di traverso rispetto a chi dovrebbe coadiuvarti nell’obiettivo di far venire la gente da te e non da un altro, caro mio, della vita non hai capito proprio un cazzo, lasciatelo dire.
E perché non voglio dilungarmi su una serata di due mesi fa, quando noi artisti ci saremmo dovuti pagare la cena se non fosse intervenuto un amico comune che, molto elegantemente, ha pensato al conto: questo come ringraziamento per aver animato la serata in un locale del centro.
(ma questa è un’altra storia)
Amici che leggete il mio blog o che siete capitati qui per caso, fatemi una cortesia: boicottate i locali dove sapete si sfruttano gli artisti, o i dipendenti, o comunque che sono palesemente gestiti da persone grette che non ci sanno fare… e privilegiate, invece, quelli che cercano di dare quel qualcosa in più, di provare ad essere migliori di quello che le leggi vogliono far diventare il concetto di tempo libero.
(solo un mero restare a casa a guardare la tv, se non si fosse capito)
Ve lo chiedo dal più profondo del cuore.
Per la cronaca, i miei posti da evitare sono tutti segnalati su FourSquare: da qualche parte bisogna pure cominciare.
LdC
Purtroppo nella mia esperienza non ho mai incontrato gestori di locali che non sfruttino i dipendenti, che non abbiano una mentalità ristretta e che non considerino i clienti come degli ostacoli messi di traverso nel flusso di denaro tra il mio portafoglio e il loro. Pertanto li evito tutti. E se sono costretti a chiudere, allora vuol dire che avevo ragione io.
Gischio
IL tuo post mi fa pensare ad un disegno che avevo trovato da qualche parte su Tumblr che in sintesi diceva: il fatto che sono un artista non implica il fatto che io sia disposto a lavorare gratis, questo: http://bookslifeandeverythingelse.tumblr.com/post/13540880253/i-dont-do-art-for-free-by-pearleden
che poi non so se è per reale ignoranza o innato masochismo che i gestori dei locali scelgano di sorvolare sull’equazione band=pubblico=soldi. Guadagnare non dovrebbe essere il loro scopo?
(scusa il papiro, me ne torno nel mio angolo a lurkare ma non mi sono potuta trattenere!)
Bellissimo disegno e tristissima verità.
Grazie del commento, mi fa piacere che tu abbia scelto questo argomento per delurkarti: mi sta molto a cuore e spero che contribuisca seppur in minima parte a sensibilizzare le persone su questo argomento…
Gischio: “clienti come degli ostacoli messi di traverso nel flusso di denaro tra il mio portafoglio e il loro” è da incorniciare!
Grazie, ma non è proprio farina del mio sacco. Per onestà devo confessare che si tratta di un adattamento di una frase che ho letto in “Nickel and Dimed”, di Barbara Ehrenreich, nell’episodio in cui la protagonista lavora come cameriera, e che qui riporto:
“My job is to move orders from tables to kitchen and then trays from kitchen to tables. Customers are in fact the major obstacle to the smooth transformation of information into food and food into money – they are, in short, the enemy”.
Bella comunque!
Grazie a te che hai scritto questo post!
Non mi sono proprio riuscita a tenere! Il comportamento dei vari gestori non fa altro che dimostrare quanto poco l’arte sia tenuta in conto in questo Paese ed è una questione che davvero mi intristisce e inquieta alquanto. Una persona che lavora nella cultura viene sempre considerata “meno”, quasi non stia svolgendo un vero lavoro, ma si diverta solamente. Come se le prove di un gruppo, la scrittura di un libro o altre attività fossero dei passatempi. Chi ci investe ore e fatica si vede, praticamente, ridere in faccia da chi pensa che la cultura sia facile, un gioco da Peter Pan che prima o poi dovranno crescere.
Ieri, sempre in tema, ho letto anche questo:
https://www.facebook.com/notes/colapesce/umiliati-e-offesi/398240806853367