Sottotitolo: quando senti gli zoccoli, non pensare alle zebre.
Amiche, amici, lo so che da quando mi sono fidanzata il mio lato yè yè e leggermente sadico nei confronti dei rapporti interpersonali si è magicamente tramutato in un tripudio di cuoricini e nuvolette di panna montata rosa, ma siccome vi vedo/sento/leggo un po’ in difficoltà, sento il dovere morale di fare un piccolo ripassino intingendo la punta delle dita nel veleno prima di mettermi alla tastiera.
Vi ricorderete senz’altro del libro (diventato poi film) che qualche anno fa ha spopolato e che si intitolava La verità è che non gli piaci abbastanza? Ecco, con queste mie poche righe vorrei rispolverare alcuni concetti basilari del rapporto fra esseri umani di genere/specie/provenienza similare e/o differente. I concetti sono unisex e non conoscono confine di età, estrazione sociale, taglia e sono universalmente applicabili sia al rapporto d’amore che a quello di amicizia.
Le persone a cui piacete, vi cercano. Non esistono numeri dimenticati, e-mail che non arrivano, impossibilità di comunicare: siamo nel 2012 e una persona che non vi cerca o non si fa trovare è perché deliberatamente non vuole restare in contatto (forse adesso, forse mai). Oggi come oggi, fra e-mail e social network è più difficile non essere trovati che viceversa, ergo chi non è raggiungibile è perché proprio non vuole essere raggiunto.
Le persone che vi amano vi trattano bene. Non è vero che essere maltrattati è bello e, a meno che non siate la protagonista di 50 sfumature di grigio (e anche lei non è convintissima delle mazzate che subisce), pretendete che la gente che dice di volervi bene, vi tratti altrettanto bene. Il che significa che potete permettervi, quando una cattiveria è detta in maniera fine a sé stessa e non a fin di bene, di mandare a quel paese il mittente. Il saggio recita: se non puoi dire una cosa gentile, stai zitto.
Le persone che vi amano non vi temono. Inutile illudervi che il vostro trombamico non vuole portarvi in vacanza perché ha paura di coinvolgersi troppo. Ancora più inutile raccontarvi che qualcuno che dice di voler uscire con voi ma poi non vi invita mai è perché sta cercando il modo migliore per farlo, perché ha paura di un vostro rifiuto. Per non parlare di chi vi incrocia e finge di non vedervi: no, non è perché d’un tratto si è reso conto di essersi aperto troppo nei vostri confronti e si è spaventato e allora forse è meglio fare un passo indietro. La gente non teme l’altra gente, a meno che questa non sia armata di una pistola, o un’ascia, o stia cercando di strangolarla a mani nude. Per il resto non c’è dubbio di interpretazione: chiunque ponga degli ostacoli fra sé e stesso e qualcuno, non è interessato ad avere alcun tipo di rapporto. Punto, fine, next.
L’infermità mentale viene concessa solo dietro visita specialistica e in rarissimi casi. Quindi non invocatela per giustificare comportamenti inspiegabili di amici, parenti, amanti, fidanzati e filarini. La gente, non tutta ma nella maggior parte dei casi, non è veramente pazza o veramente depressa o veramente maniaca di qualcosa: è semplicemente annoiata, oppure volubile, oppure egoista. Pretendete certificati medici se qualcuno vi racconta di essere troppo triste per uscire con voi (e poi viene taggato nelle foto dell’indianata che ha fatto nel week end) e, in assenza di pezza d’appoggio, mandate sonoramente a quel paese.
Vedersi significa vedersi. I “pagherò”, le promesse di incontro, i “prima o poi dobbiamo uscire” sono succedanei lava-coscienza di persone che non hanno una reale intenzione di frequentarvi. Vedersi non implica il coinvolgimento di un supporto informatico né di linee adsl, ricordatevelo. Chi si appaga nel frequentarvi o sentirvi virtualmente, può restare dov’è a sublimare una vita, mentre voi uscite a frequentare la gente vera. Non ci perdete niente.
Smettiamo di giustificare ad libitum le persone e utilizziamo questi moti di generosità nei nostri confronti, per perdonarci quando avremo depennato il loro numero dalla rubrica, o scritto sui muri del paese quanto certa gente ce l’abbia piccolino. Questo è un ottimo utilizzo del sentimento del perdono e di sicuro noi stessi ne siamo i migliori destinatari.
Love and peace.
LdC
Ho una nutrita schiera di pseudo-amici che, quando telefono loro, mi cantano sempre lo stesso ritornello: “… è un secolo che non ti fai sentire!”. Certo, perché chiamare tu no, eh? Oppure: “Grazie che mi hai chiamato!”. Si, peccato che sia sempre io quello che chiama e tu quello che ringrazia.
Sottoscrivo tutto, tranne il fatto che non possano nascere amicizie on line, sia che si trasformino o meno in amicizie anche off line.
Per il resto mi piace la tua schietta chiarezza, o chiara schiettezza!
Amicizie online ne ho e vivaddio che ci sono, ma io intendevo quelle persone con le quali non ci sono grosse distanze da abbattere.
w le amicizie on line…a parte questo, mi ritrovo molto nei tuoi consigli. Li davo sempre ad una mia cara amica che pensava di spaventarlo perchè troppo figa (cosa che non è…è normale…)o troppo brillante….:)
Ma infatti!
non si è mai troppo brillanti o troppo intelligenti o troppo belli, dai!
Spavento gli uomini perché sono troppo figa: questa mi mancava…
Sul troppo intelligenti/indipendenti/sicure di sé direi nì, ma l’ho sempre considerata una sorta di “selezione all’ingresso”. Insomma una nuova declinazione del “chi non mi ama non mi merita” cioé “chi non mi sopporta/tiene testa è meglio che lasci stare”.
Certo che noi donne siamo davvero (dolcemente ?) complicate rispetto ai maschietti, e spesso il nostro più grosso errore è credere che loro vedano le cose nel nostro stesso modo. Come diceva un’amica più grande a una me più fanciulla e ingenua: se non chiama è perché non vuole chiamare! As simple as this.
Come dice sempre il mio amico Luca “noi uomini siamo esseri semplici”.
La differenza è che, a differenza nostra, loro non ragionano in maniera stratificata (e forse vivono anche meglio).