Periodicamente mi capita di riflettere sul concetto di perdita, tant’è che c’è proprio una categoria qui nel blog e si chiama perdere gli oggetti. Adesso vi racconto un aneddoto, e per farlo devo stravolgere un po’ la cronologia del racconto sugli Stati Uniti e trasportarvi con la fantasia fino all’ultimo giorno di vacanza, nello specifico ai sobborghi vicino all’aeroporto di quella strana città che è Houston (faccio la vaga perché non vorrei spoilerare).
Houston è molto strana, veramente, è proprio fatta per essere amata dall’americano medio, il che significa che per due italiane non è esattamente il luogo dove si vorrebbe trascorrere la vecchiaia, a meno che questa vecchiaia non la si voglia trascorrere al caldo umido, fra rotoballe, giacimenti petroliferi e campi da baseball, ma non è della mia vecchiaia in Texas che voglio parlarvi, bensì del fatto che se sarete mai nella vostra vita a Houston, un venerdì mattina di maggio, e vorrete fare colazione in un posto carino per l’ultimo saluto gastronomico agli States, per gustare un goloso biscotto gigante, un ultimo frappuccino, porre malinconicamente lo sguardo sul logo di Starbucks, dovrete fare i conti con l’impossibilità di trovare una caffetteria decente se non dentro all’aeroporto stesso ma se, come noi, dovrete ancora restituire l’auto alla Alamo, sappiate che l’unica alternativa saranno i luridi ristorantacci dove servono la colazione sullo stesso tavolo su cui, dopo neanche mezz’ora, cominceranno a servire dei mac&cheese e voi, affamati, non potrete fare altro che pensare Stacce e sedervi un po’ recalcitranti a maneggiare l’unto menu.
Quindi, per colpa dell’overdose da grassi e carboidrati, per la fretta di abbandonare il posto al più presto possibile, per l’ansia da partenza o più semplicemente perché sarete obnubilati da bellezze locali come il ciccione con il piatto pieno di salsicce, o la famiglia che pasteggia a birra alle nove del mattino, o la donna dalle unghe variopinte e dai vistosi capelli cotonati, potrebbe capitarvi di non accorgervi che il vostro foulard nero con le borchie è scivolato a terra e potrebbe capitarvi anche di ricordarvene solo molte ore dopo, tipo mentre state ballando un’antipatica rumba sul volo Houston-Londra, il che vi aggiungerà tristezza e malinconia al già gravoso dubbio sulla vostra stessa sopravvivenza.
Ecco, questo è stato veramente l’unico momento triste della vacanza, cioè quando mi sono resa conto che la mia sciarpetta nera borchiata, pagata ben 1€ al mercato di Lido degli Estensi, di scarso valore economico sì, ma molto carina e ricca di valore affettivo – ce l’ho uguale alle mie amiche, mi è stata raccolta da un lui molto speciale una sera di settembre, e poi a me le borchie piacciono, cazzarola – era rimasta in quell’orrendo ristorante di Houston.
E l’ho rimpianta per molti, molti giorni a seguire, ogni volta che l’ho pensata.
Tipo ogni volta che, dall’attaccapanni di casa, sceglievo un foulard o un coprispalle e mi tornava in mente e provavo un senso di vuoto, di perdita.
«Chissà se sei felice e chi ti indossa, ora» mi domandavo rimpiangendola, magari stupidamente, ma non ci posso fare niente se mi veniva spontaneo.
Poi il tempo è passato e oh, non ci son cavoli che tengano: è veramente la cura per ogni dispiacere.
Non ho comprato altre sciarpette borchiate, ho usato tutte le altre che già possiedo -tipo venti perché, si sa, il foularino di scorta è sempre utile- e ogni volta che ne sceglievo una, probabilmente stavo pensando ad altro e mi dimenticavo di rimpiangere quella perduta.
Quindi, alla luce di queste ultime giornate in cui mi è capitato di ripensare all’accessorio borchiato che non riavrò mai più perché adesso starà al collo di qualcun’altra, che magari lo saprà indossare meglio di me, o peggio chissà, magari ci ha foderato la cuccia del gatto, ho anche realizzato che se per tante settimane ho dimenticato di rimpiangerla, comunque il dolore per averla lasciata chissà dove, mi brucia sempre meno.
Certo dispiace, ma magari era il suo destino partire da Lido degli Estensi per essere felice dov’è, ora, a Houston.
Ed essere felici a Houston, credetemi, ci vuole della bella fantasia.
Buona fortuna, sciarpetta borchiata. Non mi manchi più così terribilmente, anche se ogni tanto ti penso.
LdC