Il giorno dopo il destino in agguato si aggira travestito non vi diciamo come, tra i mille volti della Fiera del Tonno di San Lorenzo. Ogni anno infatti l’isola festeggia questo azzurro e mite animale che assicura il quaranta per cento delle entrate locali. La festa confonde fisarmoniche e grida, colori e ansiti bisessi. Ci cammina Alfonso il bello inguainato in una camicia argentata, color tonno per l’appunto, più cintura di giaguaro e scarpe a stiletto, offrendo al mondo la sua bellezza appena velata dalla malinconia d’amore. Ci cammina Olga la bella vestita di fucsia ottenendo il massimo degli aggettivi mai ottenuti da una donna a una fiera di San Lorenzo. Camminano in direzioni divergenti e quindi non si incontrerebbero mai se non intervenisse il Destino sotto forma di (badate!) venditore di dolciumi, torroni per l’esattezza. E che torroni! Forse la stessa Astarte, dea della seduzione e Repletus, dio dell’eccesso alimentare hanno impastato il dolce con miele dell’Olimpo e droghe afrodisiache, poiché il manufatto sparge nel cosmo un odore cui è impossibile resistere. Lo sente la città, lo sente la periferia dove decine di bambini penzolano dalla finestra e intonano cori lamentosi di desiderio, lo sente anche il più rude pescatore a qualche miglio dalla costa e anche i tonni, ebbene sì i tonni, si fermano ad annusare rapiti e buon per loro che nessuno pensa di usare il torrone come esca.
Goloso e attratto Alfonso mantiene quindi direzione di maestrale mentre Olga vira da libeccio a ponente e poi anche lei a nord-ovest in direzione torrone, seguendo l’odoroso sentiero del Destino. E lì, al banco dolciario, si incontrano e il loro sguardo non si può raccontare: una sfida, una promessa, un incantesimo, quello che vi pare. Il venditore di torroni (Giove travestito?) sorride complice mentre i due si allontanano, ormai avvinti dall’eterna magia. Come se da sempre si conoscessero, lui le parla del campionato di calcio, della palestra, del suo menisco. Lei gli parla della sorella suora, di canarini, di stoffe. Alle ore ventitré e quaranta si baciano e la ruota del destino si mette a correre all’impazzata. Li avvista tra la folla Porfirio il vedovo. Il cuore gli si impenna nel vedere la donna dei suoi sogni stretta all’uomo leopardo. A stento trattiene un grido. China la testa e inizia a prendere a ceffoni i figli al ritmo di due ceffoni ogni “papà me lo compri”. I piccoli, sconvolti dall’impeto paterno, ammutoliscono, cosa che non accadeva dal dì del funerale materno.
Ingoia rabbia e lacrime Porfirio, si siede al primo bar e ordina un cognac. È Ernesto, che sostituisce un collega, a portarglielo. Porfirio lo riconosce e decide: saranno amanti. Solo così dimenticherà Olga. La sera stessa in pantaloncini corti, eccoli andare in tandem sul lungomare, ubriachi, verso una spiaggia tranquilla ove consumare il loro scandaloso amore. Li vede Cristina e trova conferma alle voci delle colleghe più malevole. Pazza di amore respinto decide di concedersi la sera stessa ad Alfonso. Si trucca dalla bocca agli alluci, indossa uno sull’altro tutti i materiali trasparenti che ha, col risultato di eliminare ogni trasparenza. Suona al campanello di Alfonso.
-chi è?
-sono Cristina, salgo?
Beffa suprema di Amikinont’ama! Quelle tre parole che fino al giorno prima avrebbero formato una sull’altra gli scalini per il paradiso, suonano ora del tutto indifferenti ad Alfonso, che crudelmente dice:
-non sono solo.
È vero. Sono a letto, lui nudo e irsuto, lei bianca e sottoveste pesca, spossati da un pomeriggio d’amore, ormai senza sigarette fumando uno le cicche dell’altro e senza più alcolici bevendo acqua e ghiaccio.
Cristina pazza di dolore e umiliazione fugge via, e corre e corre finché arriva sul molo. Il mare è tranquillo. Il blu profondo fissa Cristina con un immenso occhio luminoso. In fondo cantano i tonni. Uno splendido tramonto illumina i riccioli della ragazza e la fa sembrare ancora più giovane. In fondo morire giovani è bello, pensa Cristina: se non lo faccio adesso che posso, forse quando sarò vecchia lo rimpiangerò. Così chiude gli occhi e si butta. Il tuffo nell’acqua fredda le solleva impudicamente la sottana. Trattiene il respiro. La sua vita scorre in un attimo. La zia Editta. Il babbo che dorme sotto una palma. Prugne meravigliose in un vaso troppo alto per le sue braccine. Una compagna di scuola, poi morta di tisi. Il primo bacio. Mance. Poi il bel volto bruno di Ernesto sul bianco della giacca da cameriere. Ernesto in tandem col suo drudo che canta canzonacce. Poi più nulla. Tira un gran sospirone e nuota verso riva.
Due settimane dopo Cristina vince il primo premio, un’automobile, a un concorso di detersivi. L’istruttore di scuola guida si chiama Goffredo, è alto e simpatico. Non aggiungo altro. Ernesto lascia Porfirio dopo una lite sull’educazione dei figli. Tra Olga e Alfonso si insinuano dapprima separé di silenzio, poi stanze, poi quartieri. Ore e ore lei a smaltarsi le unghie, lui a fare flessioni. Una notte Olga si sveglia per via di un rumore spaventoso in cucina. È Alfonso che succhia gamberoni freddi. Il giorno dopo lei va da sola al cinema a vedere “Piangerò domani”, poi va a piangere alla finestra di casa sua. Da lì vede Alfonso che si gonfia e sgonfia al suono di “Apache”. Si chiede come ha potuto buttar via sei settimane della sua vita con un uomo così.
Anche il destino a questo punto si domanda se vale la pena travestirsi da venditore di torroni, far morire i dentisti, far cantare i tonni e tutto solo per divertire questi bambini volubili che si chiamano uomini. Nessuno gli risponde: perché nessuno può dar consigli al destino, né a San Lorenzo né altrove.
(Stefano Benni – Il bar sotto il mare, 1987)
LdC
Eh, il torrone… da buon cremonese doc non posso che sospirare pensando a quel dolce!
Mi fa sospirare più delle storie di questo racconto :-p
Ste