Visto che il pubblico si è diviso nettamente in due fazioni opposte, quella che ha esclamato «Sorrentino, genio!» e quella che l'ha paragonato alla Corazzata Potëmkin, avrei piacere di dire anche io la mia su This must be the place.
Ora, io non sono un critico cinematografico né lo sarò mai, però dall'alto dei miei otto euro spesi, sono ben lieta di dire che secondo me si tratta di un film difficilissimo ma non per questo brutto, anzi.
C'è chi l'ha tacciato di discontinuità: tanti begli spezzoni messi assieme male, chi l'accusa di non avere una trama… per quanto mi riguarda la trama c'è, eccome. Si tratta di uno dei più delicati film che parlano di famiglia, di appartenenza e di Olocausto, senza per forza tramortire lo spettatore con scene da pugno nello stomaco o facili sentimentalismi. E' un film diviso in due parti: nella prima è come se venissero appoggiati vari elementi su un tavolo, in modo che lo spettatore non capisca cosa li lega. La seconda parte, invece, ha il compito di collegarli tutti l'uno con l'altro, in modo da mostrare il disegno finale in tutto il suo significato.
Fotografia immensa e mai banale, che non guasta.
Colonna sonora di David Byrne, e abbiamo già detto tutto.
Citazioni sparse molto divertenti da cogliere.
E comunque, anche solo l'interpretazione di Sean Penn vale il prezzo del biglietto.
Home is where I want to be
but I guess I'm already there.
LdC