When I was just a little girl,
I asked my mother, what I can be –
Will I be pretty, will I be rich?
Here's what she said to me:
Que sera, sera,
Whatever will be, will be,
The future's not ours to see,
Que sera, sera.
(Doris Day – Que sera sera)
Quando ero piccola giocavo con le Barbie. Fin qui, niente di strano. Suppongo che voi figlie degli anni 70-80, come me, in questo caso fortunatamente prive di tutte quelle distrazioni come televisione, computer e aggeggi supertecnologici, abbiate dovuto aguzzare non poco l’ingegno per inventare sempre nuove avventure per le vostre bambole.
Così facevo anche io.
Fantasia, né più, né meno. Strumento potentissimo che, unito ai nostri sogni infantili, è stato forse il primo di una serie di gradini che –nel crescere– ci hanno portato qui dove siamo oggi e dove magari non avremmo mai creduto di essere. Per quanto mi riguarda invece sì, posso dire di essere arrivata dove credevo, visto che, molto concreta già dalla tenera età, a cinque anni ho cominciato a dichiarare “da grande farò l’impiegata” e, come per magia, eccomi a farlo davvero!
(mi viene in mente una battuta di Paolo Rossi, ma non la faccio che è un po’ volgarotta)
Vi va di condividere alcune sceneggiature dei vostri giochi?
Su tutte, io ne avevo un paio: il ristorante, nel quale di solito era coinvolta la mia amica Emanuela –persa di vista e mai più ritrovata, nemmeno grazie a Facebook!- che relegavo con fare dispotico a ruolo di cameriera mentre, con le bambole, ci occupavamo della cucina. Oppure mi inventavo terremoti e cataclismi, caricavo tutto sulla spider rosa e ogni angolo di casa diventava un nuovo rifugio per sfuggire al disastro.
(ripensandoci oggi ero una bambina un po’ atipica, eh?)
Fino all’arrivo della Casa di Barbie, la prima versione in cartoncino e plastica intendo (nel 1981 costò la bellezza di 50.000 lire, immagino lo sforzo economico dei miei e ancora mi commuovo)… una palazzina a tre piani probabilmente antisismica, giacché da quel giorno nessun terremoto ha mai più turbato la nostra quiete.
LdC