Piccola premessa: con altre blogger ci siamo organizzate per scrivere (random, sappiatelo) un post avente il medesimo tema, affrontato da ognuna a proprio modo. Ovviamente chi si vuole aggregare deve solo produrre e farcelo sapere.
Il tema di oggi è: dato un numero fisso di sfighe e felicità che ci è stato destinato, come mai le prime arrivano sempre in blocco e le seconde molto più raramente? Che ci sia una falla, da qualche parte, o un’ansa dove le gioie si raccolgono e non riescono ad incanalarsi verso i rispettivi destinatari? E se questa falla o ansa che dir si voglia dovesse essere sistemata, sopravviveremmo a cotanta felicità tutta in un solo colpo?
Svolgimento:
Bologna, esterno notte. Una giovane donna che sappiamo essere nel pieno delle sue facoltà mentali (fisiche lo sapremo con certezza solo la prossima settimana) è seduta nella sua automobile sotto casa. Ferma, fissa il vuoto. Per radio Baglioni canta “è un po’ che mi sento così giù di corda, che chiedo scusa anche se acciacco una merda”. Si sente svuotata, come se un’idrovora si fosse presa fino all’ultimo goccio di quel buonumore che cerca sempre di garantirsi – la nostra protagonista non è di per sé portatrice sana di ottimismo, quindi necessita di quotidiane trasfusioni di altrui positività – e deduce che, forse, andare a prendere quell’aperitivo non è stata un’idea proprio brillante, specie perché qualcuno le ha messo la classica ciliegina sulla torta (perché certe assenze pesano così tanto?).
Anche se lo Spriz non era affatto male.
Ma soprattutto pensa. Pensa a troppe cose contemporaneamente.
Pensa che ha una casa bellissima, ma ancora senza riscaldamento, è la fine di settembre e non sa quando lo collegheranno. Che ha il pc dell’ufficio con dentro metà della sua vita informatica e personale in balia di un tecnico arteriosclerotico e, conseguentemente, per nulla affidabile. Che, a causa di questo, è da due giorni in banco con la collega trifolamaroni che le chiede ogni due per tre se vuole un the, un biscotto, un raviolo al vapore, un cacciatorpediniere, un bambino, una trottola, un salmone, un carabiniere, eccetera eccetera. Che ha il cellulare col display guasto e che non regge la carica e non sa per quale motivo. Che ha ritrovato l’auricolare bluetooth nella borsa della Nikon dopo un anno che l’aveva perso ma l’ha rotto il giorno dopo. Che c’è un tizio le dà della troia senza se e senza ma, ma soprattutto senza motivo. Che è appena stata scartata per la serata finale di Ad Alta Voce, cosa a cui teneva moltissimo. Che si è rotta un tacco in mezzo alle Minganti con tanto di capannello di vecchietti che le ha apertamente riso in faccia. Che ultimamente quando mette su un cd il pezzo che salta è proprio quello che le piace di più. Che se va al Leclerc per comprare il Trivoglio Bonduelle è sempre finito. Che il suo maestro di tennis preferito non sarà più il suo maestro di tennis. Che l’estate sta finendo e un anno se ne va (quest’ultimo fatto ineluttabile ma comunque fastidioso).
Perché pensa a tutte queste cose contemporaneamente? Perché sono accadute più o meno tutte contemporaneamente, of course. La canzone, nel frattempo, è finita. La nostra protagonista decide che è ora di andare, si guarda nello specchietto retrovisore e si fa una delle sue facce strane, come a dire “dopotutto domani è un altro giorno”: solo fino a qualche anno fa, sappiamo con certezza, non avrebbe avuto questa reazione. Si sarebbe arrabbiata, avrebbe sbattuto qualcosa a terra con violenza, avrebbe pianto e strepitato perché non è possibile essere sempre Calimero. Oggi no. Oggi sa che ci sono giornate con spirali di gioia e altre con abissi di tristezza e sa che tutto è una ruota che gira. Perché a quanto pare la regola è che se le sfighe amano stare in gruppo, le gioie sono incredibilmente solitarie e non solo non si mischiano con le cugine sfighe, ma non tendono all’aggregazione nemmeno tra loro. Le gioie sono snob, se la tirano. Ma lasciamole cuocere nel loro brodo, che si divertano a stare là nel limbo dei colpi di fortuna, a vincere al Superenalotto, a prendersi a botte di culo, tanto noi ormai ci abbiamo fatto il callo ad arrangiarci, ad arrancare e ad arrabattarci per andare avanti schivando colpi di mattonate che mirano alle nostre arcate dentali. Come diceva la povera nonna Linda: tenetevi pur tutto!
Ma non è finita qui. Lei non sa che sta per scoprire una cosa molto importante. Forse più importante di tutto quello che c’è a monte di questo racconto. Apre la borsa e comincia a frugare: cellulare, occhiali da sole, portafogli, biglietti, cicles, spazzola.
Cazzo (sì, ho proprio detto cazzo).
Ha lasciato le chiavi di casa in ufficio.
LdC
Sembra di essere lì con te: come sempre quello che scrivi e come lo scrivi mi fa sentire parte della tua vita! :o) …arriverà prima o poi anche la sommatoria delle disavventure dell’abito da sposa, si sa son sempre l’ultima ad arrivare!!!
Sull’estate che finisce, non posso sentirmi solidale. Io ogni volta che l’estate finisce penso: meno male. Qui a Roma, peraltro, c’è ancora un caldo maledetto con odiosissime giornate di sole: i diluvi dello scorso weekend mi avevan fatto sperare nell’inizio del freddo, e invece no.
Temo che il guaio serio è che ci si crei troppe aspettative da tutto e da tutti, senza ricordarci che siamo noi ad essere responsabili se non proprio di tutto quanto ci accade, quantomeno di come interpretiamo quello che ci accade. Credo che sia, sempre e solo, una questione di punti di vista. Ieri sera guardavo Anno Zero e, di fronte ad una realtà drammatica come quella di Scampìa, ho trovato illuminante il punto di vista di due ragazzi, diametralmente opposti: il primo, uscito da poco di galera per rapina (grazie all’indulto), sosteneva di voler cambiare vita ma di non saper far nulla (salvo rubare) e che a Napoli non si trova lavoro, e che, e che… il secondo se ne è andato a 16 anni ma già lavorava a Napoli, cinque mila lire la prima settimana di lavoro, manovale, ha chiaramente detto: lavoro lo trovi, se vuoi lavorare lo trovi e ti accontenti, magari cerchi qualcosa d’altro ma prima ti accontenti, ti rimbocchi le maniche e cerchi…
Ecco.. stessa base… stesso luogo… universi differenti.
Abbracci
@Deb: specifica del TUO abito da sposa, che poi non comincino tutti a pensarla come il Principe di SM!
@Poeta: l’estate sta finendo e un anno se ne va, sto diventando grande lo sai che non mi va. Più che il caldo è questo il mio vero problema, quando arriva l’inverno per me significa che sta per aggiungersi un anno..
@Eliseth: capisco che l’atteggiamento voglia dire molto e difatti hai letto che il mio intervento si conclude con un moto di sfida nei confronti delle avversità, dopotutto dalla vita ti prendi poi quel che arriva, non è che puoi star tanto a sceglierle, certe cose. E’ che non vedo una seconda chiave di lettura per certe cose che mi sono capitate, diciamo che finchè c’è vita c’è speranza, ma alcune le avrei evitate.
Comunque sappiate tutti che per par condicio nei confronti della fortuna vs. sfiga, pubblicherò anche le rettifiche qualora le situazioni si dovessero sanare!
Grazie per l’invito, adesso so dove ti posso trovare LdC… Per la lettura, devo cercare un po’ di tempo, i tuoi post sono dei romanzi… ;-)
cktc (una tua ex compagna di classe)
Il cicles che è ? La gomma da masticare??
Io credo che tu io, e la anna se ci metiamo a mettere scrivere le nostr sfighe non finiamo piu.
Vedio mio post di ieri.
@ ALL: intendevo dire il mio post sulla sfiga sarà probabilmente dedicato al MIO, e ribadisco M I O [va bene così? ;o)] abito da sposa… ;o)
Quando ci capitano certe sfighe la cosa migliore è circondarsi di persone positive che ci portino un pò di solarità ed allegria facendoci almeno per un pò dimenticare le cose andate storte…. poi forse col tempo le cose si sistemeranno da sole… si spera….. :-))))